CHI SOFFRE DI TECNOSTRESS?

dott.ssa Maria Cristina Zantomio

TECNOSTRESS: NE SOFFRI ANCHE TU?

 

Nel lontano 1984, lo psicologo Craig Brod pubblica il volume “Technostress: The Human Cost of the Computer Revolution”, in cui definisce tecnostress “un moderno disturbo causato dall’incapacità di far fronte alle nuove tecnologie in un modo sano”. Qualche tempo dopo la prestigiosa rivista Nature riporta il termine tecnostress definendolo come “lo stress e il concomitante disturbo psicosomatico indotto dall’introduzione delle nuove tecnologie”.

Dagli anni ‘80 ad oggi diverse ricerche si sono focalizzate su questa tema e molto è cambiato nello sviluppo delle ICT (Information and Communication Technologies) e del nostro rapporto con loro: oggi le tecnologie ci semplificano enormemente la vita in molti campi. Ma allora quali sono le modalità attraverso cui restiamo condizionati dall’utilizzo di PC, tablet, smartphone?

 

I 5 TECNOSTRESSOR E LE CONSEGUENZE

Nel 2008 Ragu-Nathan e colleghi hanno sviluppato un modello secondo il quale vengono indicati 5 “tecnostressor” che influenzano il nostro rapporto con le tecnologie ed il livello di stress nel loro utilizzo. Vediamo insieme quali sono e quali conseguenze possono avere sulla nostra psiche:

  1. Techno-overload, ovvero, l’enorme quantità di informazioni in entrata da fonti diverse capaci di sovraccaricare le funzioni cognitive umane; la sensazione è quella di avere troppe informazioni a disposizione e di sentirsi travolti e oppressi.
  2. Techno-invasion, cioè la capacità delle ICT di rendere una persona sempre reperibile, così che spesso lavoro e vita privata non riescano mai ad essere completamente separati, con lo sviluppo della sensazione di sentirsi invasi nei tempi, negli spazi, nella privacy ecc.
  3. Techno-complexity, collegata alle continue innovazioni delle ICT, che obbligano chi le utilizza ad aggiornarsi costantemente: le emozioni che si sviluppano come conseguenza possono essere ricondotte a senso di avversione, paura ed ansia.
  4. Techno-insecurity, legata alla paura ad esempio, di perdere il proprio lavoro perché sostituiti da ICT oppure perdere terreno in confronto a colleghi che hanno maggiore padronanza con questi strumenti; ciò provoca sospettosità, invidia, frustrazione.
  5. Techno-uncertainty, legata alla fatica nel prendere decisioni circa lo strumento da utilizzare, le modalità per sviluppare un lavoro, le possibilità di errore e di perdita di dati ecc. Riguarda la cosiddetta “decision fatigue”, che provoca procrastinazione, senso di inefficacia, insoddisfazione, perdita della motivazione e rinuncia.

 

I SINTOMI DEL TECNOSTRESS

Una indagine di Netdipendenza cerca di rispondere alla domanda: “Quali sono i sintomi più frequenti lamentati dai lavoratori digitali?” Al primo posto mal di testa (44,5%), poi calo della concentrazione (35,4%), nervosismo e alterazione dell'umore (33,8%), tensioni neuromuscolari (28,5%), stanchezza cronica (23,3%), insonnia (22,9%), ansia (20,4%), disturbi gastro-intestinali (15,8%), dermatite da stress (6,9%). Tra i sintomi più gravi alterazioni comportamentali (7,1%), attacchi di panico (2,6%) e depressione (2,1%).

 

CHI SOFFRE DI TECNOSTRESS

I maggiori studi in questo campo riguardano lavoratori che utilizzano costantemente strumenti ICT (impiegati, programmatori ecc.), ma in questo periodo molti più persone sono coinvolte da questo fenomeno: a causa dell’emergenza COVID-19, in effetti, alcune categorie di lavoratori hanno visto riconvertire il lavoro in presenza in attività a distanza con la mediazione delle tecnologie. In questo caso è necessario tenere conto che si è tanto più a rischio quanto meno abituati all’utilizzo degli strumenti informatici e, quindi, meno capaci di fronteggiare i tecnostressor.

Pensiamo, ad esempio, al settore dell’istruzione e all’introduzione della Didattica a Distanza: si tratta di un campo fino ad oggi poco sperimentato, i cui attori, docenti, personale scolastico e persino genitori, si sono trovati catapultati in un mondo spesso poco conosciuto. Ecco che in questo ambito il rischio di stress collegato alle nuove tecnologie è molto elevato.

 

COSA CI Può AIUTARE? 5 BREVI CONSIGLI

  1. Cercare di prestare attenzione al grado di attivazione fisiologico (battito cardiaco, sudorazione, ecc) e psico-emotivo (affaticamento mentale, sensazioni di oppressione, di ansia ecc.) mentre utilizziamo i devices tecnologici.
  2. Individuare quale/i stressors sono responsabili dell’attivazione dello stress.
  3. Mettere in atto una strategia utile per quella specifica fonte di stress (nel caso di sensazione di invasione della privacy, ad esempio, fornirsi di un numero di telefono per il lavoro e uno per il tempo libero, stabilire degli orari di reperibilità, esplicitare un canale preferenziale es. mail a cui raggiungervi, ecc).
  4. Fare delle pause e presidiare dei momenti all’interno della giornata liberi dall’utilizzo di queste tecnologie: sembra semplice, ma non lo è, in quanto tendiamo a spostarci tra pc, smartphone e altri devices anche nel tempo libero.
  5. Attenzione all’over-work! Spesso il nostro rapporto con le ICT si sviluppa con modalità che favoriscono la perdita del concetto di tempo, rischiando di portarci al sovraccarico di lavoro: ciò favorisce l’affaticamento, ma anche alla lunga sensazioni di sconforto e di insoddisfazione lavorativa, fino al vero e proprio burnout. In questo caso può esserci di aiuto il mantra done i better than perfect (fatto è meglio che perfetto)!

Infine, dobbiamo considerare che aumentare il livello di autoefficacia nell’utilizzo delle tecnologie diminuisce il livello di tecnostress: ciò significa che più diventiamo padroni dello strumento minori sono i rischi di sviluppare tecnostress. In alcuni casi farsi supportare da qualcuno più esperto di noi potrebbe essere utile.

 

Brod, Craig. Technostress: The Human Cost of the Computer Revolution. Reading, Mass: Addison-Wesley, 1984.

S. Ragu-Nathan, Monideepa Tarafdar, Bhanu S. Ragu-Nathan, and Qiang Tu. The Consequences of Technostress for End Users in Organizations: Conceptual Development and Empirical Validation. Information Systems Research, 2008 19:4, 417-433